mercoledì 25 marzo 2015


  1. Perché il Ministero della Difesa ha deciso di farci diventare “Vittime del Dovere”

E’ necessario fare un passo indietro e ricordare certi eventi . Il primo processo militare denominato “Marina 1” era iniziato e, alla sbarra, erano stati chiamati i “vertici militari” ritenuti responsabili della morte dei due militari deceduti a Padova a causa di mesotelioma pleurico dovuto alla prolungata esposizione all’amianto: il C.V. Giuseppe Calabrò e il M.llo Meccanico Giovanni Baglivo.

Il Ministero della Difesa, in prima battuta, veniva condannato al risarcimento per il decesso dei due Militari con una somma alle famiglie, molto vicina al milione di euro procapite. Scattò l’allarme e si tentò, con un decreto denominato all’epoca “Decreto Salva Ammiragli”, di dare una “Interpretazione autentica” ad una legge che riguardava i “lavori usuranti” a bordo delle navi mercantili, sulle quali non era prevista una “normativa tutelante il personale imbarcato” e di estenderla al naviglio militare scaricando, di fatto, i vertici militari imputati di “omicidio colposo” da ogni possibile responsabilità. Riporto, di seguito, uno stralcio dell’articolo apparso su “New Sicurezza difesa”:

“In Senato si sta discutendo il decreto-legge del 1° gennaio 2010 e il disegno di legge 1167-B che rischiano di far carta straccia delle indagini della magistratura. L’allarme arriva dal pm torinese Raffaele Guarinello, impegnato in tutte e due le inchieste. Il provvedimento salva generali e salva ammiragli, dunque, è previsto dal decreto legge numero 1 del 1° gennaio 2010 e dal disegno di legge numero 1167-B.

Entrambi fanno riferimento al decreto legislativo del 9 aprile 2008 che recita: «Non è punibile a titolo di colpa per violazione di disposizioni in materia di tutela dell’ambiente e tutela della salute e della sicurezza dei luoghi di lavoro per fatti commessi nell’espletamento del servizio connesso ad attività operative o addestrative svolte nel corso di missioni internazionali, il militare dal quale non poteva esigersi un comportamento diverso da quello tenuto, avuto riguardo alle competenze, ai poteri e ai mezzi di cui disponeva in relazione ai compiti affidatigli». Nella circostanza specifica dell’amianto, poi, il disegno di legge 1167-B (sui lavori cosiddetti usuranti) punta a cancellare le responsabilità dei vertici della Marina militare, escludendoli dalle tutele previste dalla legge 303 del 1956 (sull’igiene sul lavoro)”.

Fortunatamente il Presidente Giorgio Napolitano NON firmò (per ben due volte) e, quindi, il provvedimento inteso a discolpare gli alti ufficiali, fu fatto cadere. Lo stesso Presidente sollecitò gli organi militari affinchè si approntasse una normativa atta a risarcire/tutelare coloro che, da un’esposizione all’amianto inconsapevole e incontrollata, avevano contratto gravi patologie o perso la vita. Così nacque il D.P.R. 243/2006 “Vittime del Dovere”. C’è da dire che, all’epoca, per “quantificare” l’invalidità permanente si faceva riferimento alle “Tabelle per i Caduti in zona di guerra” e alle “Tabelle per le Vittime del Terrorismo”. Oggi si sono tirati i “remi in barca” e si fa riferimento alle “Tabelle del Ministero della Sanità” molto meno favorevoli. Difatti sino a qualche mese fa il minimo “sindacale” riconosciuto era di 11 % mentre, allo stato attuale per la stessa patologia siamo già scesi al  5 – 6 %.

E ancora:

Questa disposizione, maturata in seguito all’avvio, nel 2002, del già citato processo di Padova “Marina 1”, detta da subito “Salva Ammiragli”, destò molto clamore nell’opinione pubblica e vibranti proteste da parte delle associazioni degli esposti e delle vittime dell’amianto e com’è noto, a suo tempo -il 31.03.2010-, fu oggetto di rinvio alle Camere da parte del Capo dello Stato, con la seguente indicazione: “L’articolo 20 presenta inoltre profili problematici anche nella parte – in sé largamente condivisibile – che riguarda la “salvezza” del diritto del lavoratore al risarcimento dei danni eventualmente subiti. In assenza di disposizioni specifiche – non rinvenibili nella legge – che pongano a carico dello Stato un obbligo di indennizzo, il risarcimento del danno ingiusto è possibile esclusivamente in presenza di un “fatto doloso o colposo” addebitabile a un soggetto individuato (art. 2043 del codice civile). Qualora la efficacia della norma generatrice di responsabilità sia fatta cessare, con la conseguente non punibilità delle lesioni o delle morti cagionate su navigli di Stato, non è infatti più possibile individuare il soggetto giuridicamente obbligato e configurare ipotesi di “dolo o colpa” nella determinazione del danno. Per conseguire in modo da un lato tecnicamente corretto ed efficace, e dall’altro non esposto a possibili censure di illegittimità costituzionale, le finalità che la disposizione in esame si propone, appare quindi necessario escludere la responsabilità penale attualmente prevista per i soggetti responsabili di alcune categorie di navigli, in linea del resto con gli adattamenti previsti dal citato testo unico n. 81 del 2008, e prevedere, come già accade per altre infermità conseguenti ad attività di servizio, un autonomo titolo per la corresponsione di indennizzi per i danni arrecati alla salute dei lavoratori”.

Inoltre:

Da un carteggio, classificato “Riservatissimo”, intercorso tra il 1968 e il 1970, tra la Clinica di Medicina del Lavoro di Bari, la Direzione Generale di Sanità del Dipartimento di Taranto e la Direzione dell’Arsenale MM di Taranto, emerge che il problema dell’amianto e le gravissime ripercussioni sul personale,  erano note, ai vertici della Marina Militare, almeno dal 1970. In quegli anni la Clinica di Medicina del Lavoro di Bari chiese, per iscritto, alla Direzione di Sanità di Taranto, e ottenne, con il beneplacito consenso del Comando in Capo del Dipartimento Militare Marittimo,  di poter effettuare indagini ambientali, epidemiologiche-statistiche e diagnostiche su personale che, operante all’interno dell’Arsenale MM di Taranto, esposto direttamente e indirettamente ad amianto. Si assicurava inoltre che i risultati dello studio non sarebbero stati pubblicati nè forniti ad estranei. “Tale studio”, si legge in questo carteggio, “sarebbe stato svolto in collaborazione con la Clinica del Lavoro di Milano, il cui direttore,  Prof. Vigliani, stava conducendo  analoghe indagini nell’arsenale MM di La Spezia con la collaborazione dell’Istituto di Medicina del Lavoro di Genova.” (vale pena in questo frangente ricordare che il prof. Vigliani  fu tra i primi a introdurre il problema amianto, e delle malattie correlate, nel nostro Paese, già nei due primi anni della 2a Guerra Mondiale). Furono sottoposti a screening (clinico e radiologici) 269 lavoratori, 27 (10%) dei quali risultavano sicuramente affetti da asbestosi e 42 (15%) con rilievi dubbi. Significativo è leggere quali furono i provvedimenti presi dalle Autorità Militari: “allontanare dal posto di lavoro i soggetti più colpiti: tale azione dovrà essere opportunamente differita nel tempo per evitare allarmi eccessivi e ingiustificabili”In presenza di un elemento esogeno che riveste un chiaro ed inequivocabile ruolo patogeno, il primo provvedimento di buon senso è quello di evitare l’esposizione eliminando il fattore di rischio. E’ stato scelto di non fare prevenzione, di non abbandonare prontamente l’utilizzo dell’amianto per le nuove costruzioni- e di non informare e formare i propri dipendenti, militari e civili, sui rischi derivanti dalla presenza e su come difendersi in caso di manipolazione dell’amianto.  Questo tipo di scelte hanno provocato una spaventosa emorragia di vittime inconsapevoli e non prontamente tutelate.

Non credo sia necessario aggiungere altro: Se vivessimo una “stagione giusta” direi che basterebbero queste notizie per far si che gli “addetti ai lavori” si ravvedessero e la smettessero di cibarsi della menzogna, del sotterfugio, del raggiro e della distorsione della realtà che non può che essere a favore di Persone che, in assoluta buona fede, hanno continuato a svolgere il proprio lavoro istituzionale cadendo poi nella trappola ordita proprio da coloro che avrebbero dovuto tutelarli.

Oggi la questione dei risarcimenti delle “Vittime del Dovere” sta diventando una farsa, giorno dopo giorno. Per ottenere il riconoscimento/risarcimento si deve morire. Allora forse c’è qualche speranza di veder riconosciuti i propri DIRITTI. Ma desidero sottolineare una precisazione:

I vertici militari accusati sono “datori di lavori” nei confronti dei subalterni oppure sono dei “semplici” dipendenti dello Stato (Ministero della Difesa) indipendentemente dal grado? Io dico che l’unico datore di lavoro è lo Stato ed è lo Stato che deve essere giudicato a Padova, assumendosi, una volta per tutte, le proprie responsabilità.

Pietro serarcangeli  25 Marzo 2015

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